La dea Artemide
Artemide rivela il mondo nel segno di una femminilità totalmente diversa: quella della freschezza virginea, della purità, della dolcezza, e insieme della selvatichezza.
Per capire tale suo carattere la via migliore è considerarla accanto al fratello, ad Apollo.
I caratteri che insieme li contraddistinguono si chiamano purezza e sacralità.
Ambedue - Artemide e Apollo - vivono, inavvicinabili, in una lontananza misteriosa: lontani sempre, anche quando non siano propriamente distanti.
Così Apollo - secondo il mito delfico - soggiorna, nei mesi invernali, nel favoloso paese degli Iperborei, là dove sono ignote malattia e vecchiaia.
Pure di Artemide si diceva che di tempo in tempo sparisse.
Suo regno sono i luoghi remoti e selvaggi.
Come l'inavvicinabile, ella è vergine.
Artemide è intimamente legata a tutto ciò che vive nella libertà della natura; animali, piante e fiori.
È la "signora delle fiere".
Molti degli antichi appellativi di Artemide richiamano l'arco e la caccia.
Ella è la Dea che istruisce il cacciatore e gli dà fortuna.
Nella notte, quando la luna diffonde la sua luce fascinosa e segreta, ella va a caccia per le montagne di Licia, agitando ardenti fiaccole.
La Dea "che vaga nella notte", "che va a caccia di cervi agitando la fiaccola con ambe le mani" vien detta spesso portatrice di luce.
Ma non si deve dimenticare anche quanto il selvaggio le sia connaturato e costitutivo.
Artemide esigeva sacrifici umani.
Ifigenia doveva esserle immolata come "la creatura più bella dell'anno".
In un sobborgo di Atene c'era il tempio di Artemide Aristobule, e questo sorgeva proprio nel luogo dove si gettavano i cadaveri dei giustiziati.
Senza dubbio il suo nome si associava, all'orecchio di un greco, a quella di "sterminatrice".
Era Dea delle battaglie e lei stessa guerriera.
A lei sotto l'epiteto di Agrotera gli Spartani offrivano, in guerra, sacrifici sul campo.
W.F. Otto, Theophania
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