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Visualizzazione dei post da agosto, 2022

Raido

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  Reið er sitjandi sæla ok snúðig ferð ok jórs erfiði. iter ræsir. Cavalcare è la gioia del cavaliere e un veloce viaggio e la fatica dei cavalli. Poema runico islandese

La battaglia del Kurukshetra

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  Infine, a coronamento di questa vita avventurosa (non si dimentichi che Krishna oltre a essere un dio è un uomo che storicamente morirà nel 3102 a.C., secondo la tradizione puranica, dando inizio all'epoca dell'oscuramento, il Kali Yuga) Krishna partecipa alla grande guerra fra i Kaurava, i discendenti di Kuru e i loro 5 cugini Pandava, i figli di Pandu, il Pallido, fraudolentemente spossessati del loro Regno dai congiunti. che forma l'argomento dello smisurato poema epico Mahabharata. Si giunge pertanto alla battaglia, che durerà per ben 18 giorni, e che verrà combattuta sul Kurukshetra, il Campo di Kuru, dove si sono combattute tutte le battaglie campali per il possesso dell'India.  Dalla terribile strage si salvano solo tre Kaurava, che già fuggiti ritornano sul campo di battaglia di notte per uccidere gli avversari superstiti addormentati, e i cinque Pandava, che sfuggono a questa finale carneficina, il cui capo Yudhisthira, consumati i cadaveri dei caduti sui rog

Il regno di Teodorico il Grande

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  Teodorico aveva realizzato ciò che altri principi goti o vandali non avevano nemmeno sognato: un regno grande e tuttavia, solidamente strutturato nella parte più ambita dell'antica Europa… le regioni tra Milano e Napoli e l'antichissima Roma che da generazioni erano la meta agognata di tutti i popoli in movimento.  Altri avrebbero avuto la forza di fare la stessa cosa. Genserico, Alarico, Attila, ai quali va forse aggiunto il temerario e intelligentissimo Ardarico, re dei Gepidi; a tutti questi sovrani fece però difetto la calma, venne a mancare la capacità di analisi, di preferire a poche settimane di redditizie scorrerie molti anni di crescente benessere.  Hermann Schreiber, I Goti. Immagine: Il regno gotico di Teodorico il Grande alla sua morte

La partenza di Odino

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  Óðinn kvað: Disse Óðinn:   “Rád þú mér nú, Frigg, allz mik fara tiðir at vitja Vafþrúðnis; forvitni mikla kveð ek mér á fornom stǫfom við þann inn alsvinna jǫtun”. “Ora consigliami, Frigg, di andare ho gran voglia a trovare Vafþrúðnir. Confesso che son curioso di disputare sulle cose remote con quel gigante onnisciente”. Frigg kvað: Disse Frigg:     “Heima letja ek mynda Heriafǫðr í gǫrðom goða, þvíat engi jǫtun ek hugða jafnramman sem Vafþrúðni vera”. “A casa volentieri tratterrei Herjafǫðr, nelle dimore degli dèi: nessun gigante credo sia tanto potente quanto è Vafþrúðnir”. Óðinn kvað: Disse Óðinn:     “Fjǫlð ek fór, fjǫlð ek freistaða, fjǫlð ek reynda regin; hitt vil ek vita, hvé Vafþrúðnis salakynni sé”. “Molto viaggiai, molto feci esperienza, molto misi alla prova gli dèi. Questo io voglio sapere: come di Vafþrúðnir sia la dimora”. Frigg kvað: Disse Frigg:     “Heill þú farir, heill þú aptr komir, heill þú á sinnom sér! æði þér dugi, hvars þú skalt, Aldafǫð

La capitale degli Ittiti

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  Due fattori appaiono essere stati rilevanti per una capitale ittita: la presenza delle divinità ittite (e cioè le loro immagini oggetto di culto), e quindi del culto di Stato, e la presenza del culto degli antenati.  La religione degli Ittiti comprendeva un gran numero di divinità, che dovevano essere venerate con culti appropriati.  Trascurare questi culti era una grave offesa che poteva comportare una punizione divina.  Un'altra componente importante della capitale era il culto degli antenati. Questi ultimi, vale a dire i defunti re ittiti e altri membri della famiglia reale, venivano regolarmente venerati e la loro presenza era di conseguenza indispensabile.  Le pratiche di sepoltura dei re ittiti sono relativamente ben documentate dai cosiddetti testi di culto funerario ittita: i sovrani defunti venivano cremati e le loro ceneri conservate in un recipiente deposto in un mausoleo.  Il concetto di capitale secondo gli Ittiti, Metin Alparslan Immagine: la Porta dei Leoni ad Hatt

Ansuz

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Óss er algingautr ok ásgarðs jöfurr, ok valhallar vísi. Óss è il vecchio Gautr e principe di Ásgarðr e signore del Valholl. Poema runico islandese

Conan

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  Conan il barbaro è un personaggio letterario inventato dallo scrittore Robert Ervin Howard.  È conosciuto anche come Conan il Cimmero (dal nome della patria d'origine del personaggio, la Cimmeria). Il personaggio esordì nel racconto La fenice sulla lama pubblicato nel 1932 sulla rivista pulp Weird Tales.  Nato in Cimmeria nel corso di una battaglia durante l'Era hyboriana, un'epoca preistorica successiva alla caduta della civiltà atlantidea, spazzata via da un terribile cataclisma marino che la distrusse, Conan inizia a viaggiare sin dall'adolescenza, passata nei monti del suo paese a guerreggiare e cacciare. Dallo spirito irrequieto e vagabondo, gli capita diverse volte l'occasione di potersi fermare in un posto ed ottenere il dominio su un piccolo regno grazie ai favori che le sovrane del luogo sono disposte a concedergli, ma proprio il suo innato spirito vagabondo lo fa sempre desistere ed allontanarsi dal richiamo della civiltà.  Giunto, però, intorno ai quara

Radbod

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  Oggi commemoriamo Radbod, re della Frisia. Egli difese con coraggio il suo popolo dagli attacchi dei Franchi. Quando i cristiani provarono a convertirlo Radbod chiese se avrebbe potuto rivedere i suoi antenati pagani nel caso si fosse battezzato. Essi gli risposero di no, poiché i suoi antenati stavano all'inferno. Il re allora disse che preferiva andare all'inferno con loro, piuttosto che in paradiso con i cristiani. Radbod rimase fedele agli antichi Dèi sino alla sua morte.

Ginnungagap

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L'abisso rappresenta nel mondo nordico la realtà precedente alla creazione e nella quale l'esistente è contenuto in uno stato informe e potenziale: il baratro primordiale è detto Ginnungagap, forse “spazio cosmico colmo di forze magiche”.  Il gigante Ymir, dal cui corpo fu tratto il mondo, fu sacrificato nel mezzo di questo baratro.  I miti nordici, Gianna Chiesa Isnardi (Immagine: la galassia a spirale NGC 4414)

La gloria di Alboin

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  Di lui diceva il cantore anonimo del Widhsit: “sono stato in Italia, con Alboin, di cui tutta l'umanità, a mia conoscenza, loda la mano, che è la più luminosa dell'agire, e il cuore, che è il più generoso nella distribuzione degli anelli, degli splendidi bracciali, il figlio di Audoin.”  La fama di Alboino era diffusa ovunque, presso i meridionali bavari come presso i più nordici sassoni, e molti poemi celebravano la sua gloria, il suo valore, la sua generosità.  Sotto il suo regno, aggiunge lo stesso Paolo Diacono, “furono fabbricate armi di tipo particolare”; e questo è un riconoscimento importante, in un mondo dove le armi avevano un valore sacro,  e talvolta, se erano appartenute ad un eroe, possedevano addirittura un loro nome ed una loro individualità.  Era questo, evidentemente, il caso delle armi di Alboino; Paolo Diacono insomma voleva sottolineare la natura di eroe del re, che fu davvero l'ultimo vero eroe della saga longobarda.  I Longobardi, Stefano Gasparri I