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Visualizzazione dei post da novembre, 2020

Ares

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  O Ares pieno di vigore, che gravi sul carro da guerra; dall'elmo d'oro, intrepido, portatore di scudo, difensore di città, coperto di bronzo, dalla mano possente, instancabile, forte con la lancia, sostegno della Giustizia, dominatore dei nemici, guida degli uomini giusti; signore del coraggio, che ruoti la tua sfera vampante fuoco fra i pianeti delle sette vie, dove i cavalli, fiammeggianti lungo la terza orbita in eterno ti portano... Inni Omerici, 8, Ad Ares

Bræðr munu berjask

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Bræðr munu berjask ok at bonum verðask, munu systrungar sifjum spilla, hart 's í heimi, hórdómr mikill, skeggold, skalmold, skildir klofnir, vindold, vargold, áðr verold steypisk mun engi maðr oðrum þyrma. I fratelli si aggrediranno e alla morte giungeranno, tradiranno i cugini i vincoli di stirpe, prova dura per gli uomini, immane l'adulterio. Tempo di asce, tempo di spade s'infrangeranno scudi, tempo di venti, tempo di lupi, prima che il mondo crolli. Neppure un uomo un altro ne risparmierà. Edda, Voluspá, 45

Unici fra gli antichi

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Unici fra gli antichi, si lasciarono conoscere solo nel linguaggio e nel culto. Parole e dèi. Null'altro di loro è rimasto. E null'altro, forse, volevano che rimanesse. Non costruirono templi di pietra né palazzi. Non lasciarono cronache delle loro gesta. Non elencarono i loro possedimenti. Non diedero forma a simulacri che resistessero nel tempo. Forse ritennero tutto questo un errore - o altrimenti qualcosa non degno di essere menzionato. Ma l'invocazione di un nome divino, le variazioni di una formula enigmatica, gli accenni a eventi celesti: questo instancabili ripetevano. Fin dalla parola - Veda - che un giorno gli avrebbe designati, furono devoti, forse fanatici della "conoscenza". Ci furono uomini che videro la conoscenza e trasmisero in "ciò che si ode" (Sruti), quindi in parole, quella conoscenza che aveva origine non umana (Apauruseya). Quegli uomini furono i Rsi, i "veggenti". Roberto Calasso, Ka

Þórr lotta con il Miðgarðsormr

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Quando Þórr ebbe tirato i remi in barca, preparò una lenza molto resistente, con un amo non meno grande e robusto.  Quindi Þórr infilò la testa del bue nell'amo e la lanciò fuori bordo.  L'amo giunse fino al fondale.  E devo dirti che Þórr ingannò il Miðgarðsormr non meno di quanto Útgarðaloki avesse beffato Þórr, quando egli aveva sollevato il serpente con la propria mano.   Il Miðgarðsormr ingoiò la testa del bue, ma l'amo si conficcò nelle fauci del serpente.  Quando il serpente se ne accorse, tirò con tanta forza che entrambi i pugni di Þórr urtarono contro la frisata. Þórr era furioso, crebbe nel suo ásmegin e si piantò  con tanta forza che sfondò la barca con entrambi i piedi e colpì il fondale del mare e tirò quindi il serpente su a bordo.  Si può ben dire che non abbia mai assistito a scene terribili chi non vide con quali occhi Þórr guardava il serpente, che lo fissava dal basso, stillando veleno. Si dice che lo jotunn  Hymir divenne pallido, livido, e fu preso d

Irminsul

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  Ruodolf of Fuld goes more into detail about the Irminsul; after his general statement on the heathen Saxons, that "frondosis arboribus fontibusque venerationem exhibebant", he goes on: Truncum quoque ligni non parvae magnitudinis in altum erectum sub divo colebant, patria eum lingua Irminsul appellantes, quod latine dicitur universalis columna, quasi sustinens omnia. Here was a great wooden pillar erected, and worshipped under the open sky, its name signifies universal all-sustaining pillar. Jacob Grimm, Teutonic Mythology, Vol. 1

La battaglia di Harsfjordr

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  Re Eirikr venne a sapere dell'arrivo di Haraldr nei pressi di Stadr. Anche Eirikr aveva formato un grande esercito mettendo insieme tutti gli uomini su cui poteva contare e così si mise in marcia verso sud per incontrare quelle truppe  che egli sapeva sarebbero giunte da est in suo aiuto. Tutte queste milizie si unirono a nord di Jadar e penetrarono l'interno dello Harsfjordr ove v'era ad attenderli re Haraldr con il suo esercito. Subito iniziò una grande battaglia che fu lunga e cruenta ed alla fine re Haraldr ottenne la vittoria. Caddero re Eirikr, re Sulki e lo jarl Soti, suo fratello. Torir Haklangr aveva puntato la sua nave contro quella di re Haraldr. Era Torir un valente berserkr e lo scontro fu particolarmente duro e violento prima che Torir venisse a morte e la sua nave completamente depredata. Re Kiotvi si diede alla fuga su di un isolotto ove avrebbe potuto meglio difendersi e, dopo di lui, anche tutti i suoi armati fuggirono, taluni sulle navi, altri  inoltran

Valholl

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Quindi parlò Gangleri: “Un'enorme folla si trova nella Valholl.  E per quanto posso comprendere, Óðinn è un grandissimo condottiero, lui che comanda un esercito così grande. Ma qual è il passatempo degli Einherjar quando non bevono?” Disse Hár: “Ogni giorno, dopo essersi vestiti, si armano ed escono nel cortile, dove lottano e si abbattono l'un l'altro.  Questo è il loro svago.  Quando si avvicina l'ora del dagverðr, allora tornano alla Valholl, la loro casa, e siedono a bere, così come qui si dice: Tutti gli Einherjar alla corte di Óðinn si battono ogni giorno. Scelgono i caduti, poi dalla battaglia cavalcano via e in concordia siedono insieme. Snorri Sturluson, Edda, Gylfaginning 41

Artemide

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  Artemide io canto, dalle frecce d'oro,  che ama i clamori della caccia; vergine augusta, arciera saettatrice di cervi, sorella del dio dall'aurea spada, Apollo; Artemide, che sui monti ombrosi e le cime battute dal vento, esaltandosi nella caccia, tende l'arco tutto d'oro, e scocca i suoi dardi dolorosi: tremano le vette dei monti sublimi, dalla foresta piena d'ombra si leva un'eco immensa, all'urlo delle fiere; freme la terra e il mare pescoso, ma ella, con intrepido cuore, si volge da ogni parte, sterminando la stirpe delle fiere. Inni Omerici, 27, Ad Artemide

La Dea Nerthus

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Vi è in un'isola dell'oceano un bosco sacro e in esso un carro votivo, ricoperto di un drappo; al solo sacerdote è concesso di toccarlo. Costui comprende quando la Dea è presente nel santuario e la segue con molta devozione, mentre è trasportata da giovenche. In quell'occasione i giorni sono pieni di letizia e sono adorni a festa i luoghi in cui la Dea si compiace di andare e di prendere dimora. Tacito, De origine et situ Germanorum 39 (Immagine: il carro della Dea Nerthus in cammino)

La battaglia delle Termopili

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  Frattanto, a quei Greci che erano alle Termopili, prima di tutto l'indovino Megistia, dopo aver attentamente osservato le sacre vittime, rivelò che insieme con l'aurora sarebbe venuta per loro anche la morte; in secondo luogo, pure dei disertori erano venuti ad annunciare l'aggiramento da parte dei Persiani: ora queste notizie si erano avute che era ancora notte; terzi, vennero con la notizia, quando ormai il giorno cominciava a spuntare, gli osservatori diurni, che erano accorsi giù dalle alture. Allora i Greci tennero consiglio e i loro pareri erano discordi... Si racconta pure che sia stato Leonida stesso a congedarli, preoccupandosi che non avessero a morire; mentre egli pensava che gli Spartiati presenti non potevano con onore disertare il posto, per difendere il quale erano venuti espressamente. Erodoto, Historíai, Libro VII (Immagine: Leonida e gli Spartani dal film 300, tratto dalla graphic novel di Frank Miller).

Sigrid Tostesdotter

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In memoria di Sigrid Tostesdotter, sovrana svedese, che non si piegò a re Olaf Tryggvason, quando questi chiedendole la mano le ordinò di convertirsi dalla religione antica al cristianesimo.

Odhinn nella Ynglinga saga

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Odhinn cambiava aspetto; mentre il suo corpo giaceva come morto o addormentato egli diventava uccello o animale, pesce o serpe, portandosi in un batter d'occhio in terre lontane per accudire alle proprie o altrui faccende. Inoltre, con le sole parole, spegneva il fuoco, calmava i marosi, mutava il vento a volontà. A volte resuscitava dalla terra i morti o si sedeva sotto i corpi penzolanti dalle forche; perciò era detto signore degli spiriti dei morti o degli impiccati. Snorri Sturluson, Ynglinga saga, 7

I Longobardi vittoriosi

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I Longobardi vittoriosi non giungevano in Italia come in passato erano giunti gli Ostrogoti, e cioè come federati, che si erano almeno sforzati di mantenere una parvenza di ordine e di disciplina romani. Essi arrivavano invece come nemici. La loro conquista dell'Italia fu un'impresa sanguinosa e brutale, che a molti membri dei ceti superiori e medi, costò se non la vita, certo almeno la perdita dei beni. Pagani o ariani che fossero, i Longobardi non ebbero alcun rispetto per le chiese, i loro officianti e le loro proprietà. Jorg Jarnut, Storia dei Longobardi

Le rune e la magia

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  La stretta connessione delle rune con la magia appare anche dall'etimologia del nome rún (f. pl. rúnar) è infatti "segreto", "mistero" (cfr. antico inglese run, alto  tedesco antico runa, la parola è connessa al verbo rýna "fare un discorso segreto", tedesco moderno raunen "sussurrare, bisbigliare"). Essa suggerisce perciò l'idea della formula magica che veniva recitata a bassa voce. Ma il termine  rún  indica anche, forse in un momento successivo, il segno grafico, cioè l'entità visibile nella quale il potere della formula veniva concentrato. È significativo che nessuna lingua germanica abbia usato la parola runa per indicare le lettere latine o greche. Ciò indica che esse erano sentite di natura assai differente, prive cioè di carattere magico. Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici

Il Tempio di Delfi

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A Delfi si dice che il primo santuario fu fatto con cera d'api e piume; il secondo con steli di felce intrecciati; il terzo, con rami di alloro; e che Efesto costruì il quarto in bronzo, con canori uccelli d'oro appollaiati sul tetto: ma un giorno la terra inghiottì questo tempio; il quinto santuario, costruito con pietra levigata, bruciò nell'anno della cinquantottesima Olimpiade (489 a.C.), e fu sostituito con il santuario che tuttora si ammira. Robert Graves, I miti greci (Immagine: ricostruzione del Tempio di Apollo a Delfi, Gerhard Huber).